Tutta un’altra storia. L’Africa di Toby Green.

Nel primo episodio del podcast L’Urlo di Dakar, abbiamo cominciato a raccontare la Capitale del Senegal, fornendo anche qualche coordinata geografica e culturale su questa realtà.
Il format delle puntate e gli argomenti principali che abbiamo scelto non ci permettono di approfondire troppo. Per questo vogliamo consigliarvi un libro in particolare. Un ottimo punto di partenza da cui cominciare, se avete voglia di conoscere meglio la storia di questa regione del West Africa.
Ne vale la pena per molti motivi, ma partiamo da lontano…


Europa, 1346. 

La peste nera si diffonde rapidamente dall’Asia fino al cuore del continente. In pochi anni riduce la popolazione complessiva di un terzo, provocando una catastrofica crisi demografica, con oltre 20 milioni di morti stimati.
Francia e regno d’Inghilterra sono impegnate in una sanguinosa guerra, che si protrarrà per un secolo intero.

Maiorca, 1375. 

Il cartografo ebreo Abraham Cresques, disegna l’Atles Català, una mappa illustrata del mondo di grande raffinatezza e pregio. Nella parte inferiore della grande carta, più o meno all’altezza del Sahara, la scena di un mercante nordafricano che incontra un sovrano nero, con scettro e corona, e con in mano una grande pepita d’oro. È l’Imperatore del Mali, Mansa Musa, che secondo diversi e recenti studi comparativi sarebbe stato l’uomo più ricco di tutti i tempi.


Per la sua opera, Abraham Cresques, dispone delle fonti arabe del tempo. I mercanti che attraversano il Sahara e raggiungono i possedimenti iberici, insieme al loro carico di merci preziose, riportano le cronache dei regni, floridi e potenti, che si estendono al di là del deserto.
Tra queste, anche la leggendaria storia del pellegrinaggio di Mansa Musa a La Mecca nel 1324-5. Un’interminabile carovana di 60.000 uomini, che durante il suo tragitto verso oriente, fa ricorso ad un’immensa quantità d’oro, generando un fenomeno decennale d’inflazione in tutti i territori attraversati dalla spedizione.
Queste cronache e il progressivo sviluppo delle scienze cartografiche, rappresenteranno presto il miglior incentivo per la nascita di una nuova stagione di avventurose spedizioni navali.
Nel nostro immaginario l’era delle grandi esplorazioni prende il via al tempo della scoperta dell’America e delle successive spedizioni oltre oceano. Ma il processo ha inizio molto prima, nel momento in cui Giovanni I di Portogallo e suo figlio cadetto Enrico “Il Navigatore”, decidono d’investire nell’esplorazione delle coste del West-Africa, con l’obiettivo di disegnare nuove mappe e andare a caccia d’oro. L’intuizione è molto semplice: aggirare il grande deserto e raggiungere via mare le ricchezze dell’Africa sub-sahariana.
I diplomatici riporteranno resoconti di corti sfarzose e imperi sconfinati. Altre navi partiranno presto dai più importanti porti d’Europa.
È un momento fondamentale: nuove rotte commerciali e materie prime preziose. Una nuova strategia di espansione al di là dei confini europei. Avrà presto inizio la prima grande fase della globalizzazione. Il commercio marittimo intercontinentale, la ripresa economica e demografica europea.
All’orizzonte, in rapida successione, il Século de Ouro portoghese, il Siglo de Oro spagnolo, l’ascesa del grande impero britannico e il Gouden Eeuw dei Paesi Bassi…

Facciamo un salto temporale di qualche secolo.
Berlino, 1837.
Esce la prima edizione (postuma) di “Lezioni sulla filosofia della storia” di Hegel, che raccoglie una serie di scritti elaborati dal filosofo tedesco per gli studenti della Humboldt Universität.
Vi si legge: “l’Africa è una parte del mondo che non ha storia, essa non presenta alcun movimento o sviluppo, alcun svolgimento proprio. La parte settentrionale appartiene al mondo asiatico ed europeo”.


Georg Wilhelm Friedrich Hegel, in un ritratto di Jakob Schlesinger nel 1831.


Una tesi che sarà condivisa e sviluppata dalla maggior parte degli storici per intere generazioni e che risulta funzionale alla causa della “missione civilizzatrice” dei paesi europei in terra africana.
È il grande mito del continente sine historia, fuori dal tempo, fermo allo stato primordiale e incapace di dare vita a forme strutturate di governo e amministrazione del territorio.
I diplomatici e i mercanti europei hanno parlato e contrattato con i rappresentanti del potere locale, hanno fatto accordi e ottenuto concessioni, si sono arricchiti grazie al flusso di risorse proveniente dall’Africa, eppure…

Queste concezioni sono oggi in via di superamento, ma il processo è in qualche modo ancora in corso. Al di là dei contesti accademici, o tra gli appassionati, la vera storia dell’Africa atlantica non è molto conosciuta e probabilmente non se ne comprende a pieno tutta l’importanza.
Si tratta di una storia terribilmente affascinante, per quanto crudele. Fondamentale per poter comprende i meccanismi che hanno portato alla costruzione dell’Europa moderna e contemporanea.
Tra i tanti saggi che sono usciti di recente sull’argomento, il libro di Toby Green “Per un pugno di conchiglie” è uno dei più belli e appassionanti. Ed è tradotto in italiano per Einaudi. 


“Per un pugno di conchiglie. L’Africa occidentale dall’inizio della tratta degli schiavi all’Età delle rivoluzioni” (Einaudi, 2021)
In copertina: “Dom Manuel de Castro, ambasciatore del Congo” del pittore fiammingo Jaspar Beckx (1643 circa)


Green smonta una serie di cliché e falsi miti che hanno a lungo riempito le pagine dei manuali scolastici e, purtroppo, anche il nostro immaginario.
Quando le spedizioni europee toccano le coste dell’Africa occidentale, le prime relazioni diplomatiche e commerciali avvengono con uno rapporto decisamente alla pari. I regnanti e i commercianti africani sono anzi in una posizione di vantaggio. Hanno molto da offrire, conoscono meglio il territorio e sono molto più resistenti alle epidemie che mettono a rischio la vita degli europei, soprattutto durante la stagione umida.
Mentre nel nuovo mondo, ad esempio, i conquistadores disporranno di un grande vantaggio, tanto tecnologico, quanto a livello di difese immunitarie (come racconta il classico della divulgazione “Armi acciaio e malattie” di David Diamond), in territorio africano, i nuovi arrivati risultano praticamente indifesi rispetto alle malattie più diffuse nella regione.
Per questo decidono di arroccarsi sulle isole (come Capo Verde, São Tomé e Príncipe e Gorèe, l’soletta di fronte a Dakar) e di inviare costantemente missioni diplomatiche e commerciali sul continente.
Più avanti si garantiranno la possibilità di edificare anche dei forti sulla costa, per poter gestire in maniera più semplice gli affari.
Portano beni che in questi territori vengono utilizzati come valuta, tra cui conchiglie, tessuti barre di ferro e bracciali di bronzo. In cambio ottengono oro, avorio e altre merci di pregio. Beni deperibili, quindi, in cambio di merci che mantengono inalterato nel tempo il proprio valore. Valuta debole contro valuta forte. In uno scambio che, nel medio e lungo periodo, li avvantaggia enormemente.
È in questo modo che hanno inizio le relazioni commerciali dirette (senza la mediazione dei mercanti arabi) tra i regni dell’Africa Sub-sahariana e le maggiori potenze marittime europee. 
Le merci cominciano a circolare su di una scala globale. Le conchiglie di chinea, ad esempio, vengono raccolte a poco prezzo alle Maldive e in Brasile, per essere scambiate in Africa con merce pregiata, destinata al mercato europeo. Si sviluppa nel tempo un costante flusso intercontinentale di beni come seta, tè, caffè, cacao, canna da zucchero e cotone, che pompa immense ricchezze nelle casse dei sempre più floridi regni del “vecchio continente”.
Mano a mano che le terre conquistate aumentano anche al di là dell’Atlantico, c’è sempre più bisogno di abbondante manodopera a basso costo. Braccia per coltivare la canna da zucchero, raccogliere e lavorare il cotone e così via.
La canna da zucchero in particolare, secondo Howard H. Fench, docente alla Columbia University e autore del bellissimo e recente “Born in Blackness”, rappresenta uno dei principali stimoli allo sviluppo di un nuovo modello di business, che condurrà verso la rivoluzione industriale.
La manodopera viene acquistata su larga scala in Africa e trasportata in nave verso le Americhe. Il lavoro viene organizzato secondo una logica spietata e con una catena di lavorazione estremamente efficiente. E il prodotto finale rappresenta in sostanza il primo super-food della storia: un potente concentrato di energia, facilmente assimilabile in qualsiasi momento.
Il libro di Fench, disponibile al momento soltanto in inglese, integra al meglio la lettura di “Per un pugno di conchiglie”, centrando la narrazione anche sull’altro versante dell’Atlantico.

La Recensione del New York Times qui.


“Born in Blackness. Africa, africans, and the making of the modern world. 1471 to the second Worls War” (Liveright, 2021)


La schiavitù è un fenomeno che in gran parte dei territori africani esiste da secoli, anche se avviene con caratteristiche completamente diverse da quelle delle tratta atlantica. I commercianti europei sfrutteranno appieno questa opportunità, portando il fenomeno ad un livello mai visto prima.
Nel suo insieme, questo meccanismo commerciale di circolazione intercontinentale dei beni, segna gli albori della globalizzazione. In una fase storica che coincide sostanzialmente con l’inizio della modernità.
Per raccontarlo al meglio, Toby Green mette a confronto fonti storiche tradizionali, con fonti tratte dalla tradizione orale dei territori sub-sahariani, per dare vita ad una versione più equilibrata della storia, che non si basi più, esclusivamente, su di una prospettiva euro-centrica.
Pur essendo frutto di un decennale processo di raccolta e analisi di documenti anche inediti, “Per un pugno di conchiglie” non si rivolge solamente a un pubblico specializzato. È un testo divulgativo e appassionante, che smentisce una grande quantità di distorsioni e convinzioni, che si sono affermate all’epoca del colonialismo moderno, e che soltanto di recente sono state definitivamente “smontate” da un nuovo filone di ricerca di grande successo.